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Eolico offshore: un settore dalle grandi potenzialità

In Europa, ma non solo, continua a cresce l’interesse verso il settore eolico offshore: da una recente stima effettuata, risulta infatti che, nel vecchio continente, a metà del 2013 era possibile registrare la presenza di circa 2.000 turbine marine connesse alla rete, distribuite in 58 impianti, situati in 10 differenti Paesi, per una capacità complessiva di poco più di 6.000 megawatt.
Secondo le stime effettuate dall’Ewea (European Wind Industry Association), nel 2020 si potrebbero addirittura raggiungere i 40 GW, quantità capace di soddisfare il 4% della domanda europea di elettricità e nei 10 anni seguenti la percentuale dovrebbe crescere fino al 14%; anche se a dire il vero questa ottimistica previsione sul futuro dell’eolico offshore non trova un consenso unanime da parte di tutti gli esperti del settore. Questa tecnologia è indubbiamente ancora molto giovane per cui ha un buon margine residuo di sviluppo e perfezionamento; le perplessità maggiori riguardano senza dubbio i costi, che al momento sono all’incirca doppi rispetto a quelli dell’eolico a terra.
La prima centrale eolica offshore è stata installata dalla Siemens in Danimarca nel 1991, a Vindeby e l’impianto è tutt’oggi funzionante; da allora il costo del  MWh prodotto in questo modo è già diminuito del 40%, per cui è possibile auspicare un ulteriore ribasso futuro, anche se molto, come sempre, dipenderà non solo dagli sviluppi tecnologici, ma anche dalla politica e dal sistema di incentivi di cui questa tecnologia potrà godere. Oggi ogni MWh prodotto grazie agli impianti offshore nel mare del Nord costa all’incirca 140 euro, l’obiettivo sarebbe quello di riuscire entro il 2020 ad attestarsi al di sotto dei 100 euro per megawattora. Sempre la Siemens ha recentemente realizzato il London Array, che attualmente risulta essere il parco eolico offshore più grande al mondo, grazie alle sue 175 turbine da 3,6 MW: situato a circa 20 chilometri dalle coste del Kent e dell’Essex (Regno Unito): è stato inaugurato lo scorso luglio ed eroga 630 MW di energia l’anno, soddisfacendo così il fabbisogno elettrico di 500 mila famiglie inglesi.
L’interesse dimostrato dall’Italia nei confronti di tale tecnologia è decisamente ancora molto basso; questo un pò è dovuto alle caratteristiche dei fondali marini italiani, che risultano essere molto ripidi soprattutto sulla costa tirrenica, che in realtà godrebbe di un potenziale superiore a quella adriatica ed un pò perchè comunque rispetto al mare del Nord la ventosità costiera italiana è decisamente meno allettante, escludendo Sicilia e costa occidentale della Sardegna che invece sarebbero location ideali. Di certo non agevolano lo sviluppo anche l’incertezza normativa, la mancanza di linee guida nazionali e di incentivi adeguati a riguardo, nonché la scarsa accettazione da parte popolare nei confronti della presenza di impianti di questo tipo considerati brutti e di eccessivo impatto visivo, in quanto minano la bellezza delle nostre coste, sicuramente meta privilegiata di turismo molto più di quelle del Nord Europa.
Per ora, nel nostro paese è stato autorizzato un unico progetto che si può realmente definire offshore da realizzarsi nel golfo di Gela ed avanzato da Mediterranean Wind Offshore (del Gruppo Termomeccanica),che dovrebbe produrre 136 MW grazie a turbine da 3,5 MW; ma, nonostante il ministero dell’Ambiente già nel 2012 abbia rilasciato l’autorizzazione a seguito della presentazione della Valutazione d’impatto ambientale, tutto è bloccato a causa di un ricorso al Tar inoltrato da alcuni Comuni dell’area interessata. Gli altri esperimenti eolici “nostrani” in mare sono tutti di tipo near shore, come ad esempio pugliese da 30 MW, che è peraltro risultato vincitore della prima asta eolica tenutasi a fine 2012.

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